Corriere dell’Umbria – 04 giugno 2003

“I Mandala di Massimo Diosono”

Particolarmente da apprezzare la decisione della Provincia di Perugia, Ufficio promozione eventi e gestione centri espositivo-museali e del Comune di Spello, di organizzare una mostra delle opere di Massimo Diosono. Artista trentacinquenne diplomato all’Accademia di Belle Arti di Perugia con Nuvolo e Bruno Corà, con all’attivo presenze in collettive in Umbria di un certo rilievo e una mostra personale nello spazio del Comune di Perugia “Porto Franco” di Ponte San Giovanni (per sua collocazione e promozione scarsamente praticato), questo pittore attendeva da tempo una mostra significativa da parte di un’istituzione per presentare le sue capacità espressive che solo il confronto col pubblico può svelare e incoraggiare, cosa non facile in Umbria per giovani che hanno deciso di intraprendere questa difficile attività.
Alla Limonaia di Villa Fidelia, a Spello, spazio che per la non episodicità delle mostre e per la loro qualità sta diventando un punto di riferimento a livello regionale nel non entusiasmante panorama dei luoghi espositivi pubblici, Diosono presenta “Immateriali Immanenze” (aperta fino al 15 giugno), a cura di Emidio De Albentiis, che ha scritto in catalogo un bel saggio introduttivo sull’artista.
Come la maggior parte dei giovani pittori, anche questo ricerca una sua autonoma strategia espressiva, ma contrariamente alla gran parte dei suoi colleghi non segue acriticamente l’onda delle tendenze più recenti, orientate verso il video e la fotografia, o il sospetto figurativo di ritorno, bensì quella di una ricerca rigidamente pittorica, ma intorno a cifre di un costruttivismo geometrico, non estraneo neanche ad echi Optical, di ascendenza filosofico-meditativo orientale. Sfondi, reticolati fittissimi, quasi dei ricami pittorici, e i contrasti cromatici sono molto rigorosi, ma equilibrati nel dialogo con la luce e in quello fra pieni e vuoti. I suoi palinsesti pittorici sembrano anche simboleggiare ideali architetture o planimetrie rinascimentali di città altrettanto ideali. Non mancano nella mostra, realizzata con una quindicina di tele di misure senza scarti dimensionali eccessivi, anche opere monocrome o pseudo monocrome, nel senso della sovrapposizione dello stesso colore con simbologie geometriche archetipiche che compaiono e scompaiono a seconda dell’incidenza della luce.
Anche da qui si evince, in effetti, la correttezza della lettura critica del curatore che rinviene in ogni dipinto un autentico mandala, icona dello spiritualismo orientale, oggetto e soggetto meditativo che vuol rappresentare e leggere il cosmo.
L’artista non nasconde infatti la sua adesione al pensiero Zen e al taoismo. Come esempi di traduzione pittorica di passi del Tao-te-Ching di Lao Tzu, testo del VI-V sec. A.C. vengono citati due coerenti aforismi: il primo “Trenta raggi si riuniscono in un centro vuoto/ ma la ruota non girerebbe senza quel vuoto. Un vaso è fatto di solida argilla,/ ma è il vuoto che la rende utile”. C’è infatti, nelle tele di Diosono il grafismo ordinato, quanto esasperato della trama a raggiera e il gioco del pieno-vuoto fra trama bianca su sfondo netto, soprattutto nero, con incidentale creazione di una luce propria. Questo lavoro di Diosono, che è in continua evoluzione, dimostra che la tenacia di impegno che, considerata la giovane età, promette interessanti sviluppi.


Articolo sulla mostra FERMO IMMAGINE “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”.
Pubblicato su “Vivere d’Umbria” suppl.settimanale del Corriere dell’Umbria in data 2 marzo 2007.

Sfumature

IL PROFILO – Un artista sulle orme dei grandi talenti

Massimo Diosono è nato a Perugia nel 1967, ma vive e lavora a Spello.
Si è diplomato all’accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia nella sezione Pittura con Nuvolo, avendo come docente di storia dell’arte Bruno Corà.
Non provenendo dall’istituto d’arte, fu ammesso all’accademia previo esame d’idoneità. In questo periodo, sta così opportunamente partecipando ai corsi serali per ottenere la maturità artistica. Nel 1985-86 ottenne la borsa di studio “Adelmo Maribelli”. Dalla fine degli anni novanta partecipa a collettive; la prima personale è del 2001 a Porto Franco, lo spazio dedicato ai giovani dal Comune di Perugia a Ponte San Giovanni. Nel 2003 la Provincia gli allestisce la mostra “Immateriali Immanenze” alla Limonaia di Villa Fidelia, a Spello, presentato da Emidio De Albentiis. Lo scorso anno ha organizzato “Entwerden”( sottrarsi al divenire ) nello spazio di Trebisonda a Perugia, corredato da un testo di Maria Ausilia Binda.
Recentemente ha realizzato una installazione permanente all’hotel Albornoz di Spoleto, dove hanno lasciato tracce grandi artisti internazionali e giovani talenti.

LA CURIOSITÀ – Una “finestra” aperta sul mondo della creatività

Non è una galleria d’arte, ma un’abitazione privata di un palazzetto medievale di Spello che ospita sovente artisti il cui lavoro è improntato alla ricerca senza confini, ma caratterizzata da contaminazioni di materialità che diventano elementi simbolici. Attraverso una piccola finestra della casa di via Giulia, dall’imbrunire alle ore piccole, si può vedere l’installazione realizzata dall’artista di turno nel grande ambiente voltato fino al pavimento; versione contemporanea della visione dall’esterno di affreschi dalle grandi finestre dei palazzi nobiliari dei secoli che furono; una sorta di voyerismo artistico che è praticato da molti curiosi amanti dell’arte, come nel caso di Vittorio Sgarbi che anche in Umbria azzarda bussare ad ogni ora della notte alle case dove si intravedono dalle finestre decorazioni pittoriche. L’esperienza de la Fenestella Wunderkammern, una insolitamente grande “camera delle meraviglie” nasce nel 1998 con Dieter Liedtke per iniziativa di Franco Ottavianelli, animatore culturale raffinato e lui stesso artista, e di Afra Zucchi. Da allora la Fenestella ha visto la presenza di artisti come Simona Frillici, Virginia Ryan, Marina Fulgeri.

LE CAREZZE RUVIDE DELLE FOGLIE DI DIOSONO

Un bosco orbato dagli alberi, le cui foglie secche galleggiano fantasticamente nello spazio contenuto da una volta, che origina dal pavimento, come stelle luminose nel firmamento celeste. Sensazione ancor più evidente nella visione esterna attraverso l’apertura esterna, la Fenestella, con le luci che giocano col muoversi delle foglie appese a diverse altezze al soffitto da invisibili fili di nylon.
In fondo all’ambiente, dopo un percorso di carezze ruvide delle foglie, si vede, disegnato a terra con la cenere un “mandala”, icona orientale di rappresentazione dell’universo. Le foglie secche sono l’imbalsamazione della vita, ma anche il simbolo della ciclicità di ogni essere; come la cenere, ultimo stadio della vita, ma anche concime generatore di quella nuova.
E’ l’installazione di Massimo Diosono alla Fenestella Wunderkammern di Spello, inaugurata sabato scorso e visibile fino al 15 aprile ( visibilità limitata dall’esterno quando il sole tramonta, e su appuntamento anche all’interno ), patrocinata dal Comune di Spello, che ha come titolo “Fermo Immagine” e come sottotitolo i versi di Ungaretti “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”. Il lavoro è stato concepito in effetti in autunno e le foglie sono state raccolte allora, ma ormai le stagioni non sono più tali. La presentazione è di Emidio De Albentiis, che segue il giovane artista ormai da tempo, il quale sottolinea il valore della “cattura di un istante”, di una emozione, ma anche l’allusione alle leggi profonde dell’essere e soprattutto il richiamo specifico del lavoro di Diosono alle “atmosfere alate e rarefatte della visione orientale dello Zen e del Tao”, con una lettura però dagli ampi orizzonti, che abbraccia la cultura occidentale greca e non è estranea alla ricerca contemporanea come quella di Richard Long ( il peregrinare alla ricerca del tempo ). In effetti, l’artista spellano vive una stagione di riflessione sul senso della vita, partendo dai cicli della natura, che privilegia la manifestazione per simboli materiali-naturali rispetto a quelli pittorici. Il rigore compositivo delle sue tele di qualche anno fa, tessute di fili a comporre geometrie arabescate per palinsesti immaginifici o per simbologie mirate che ci riportano ai “mandala”, lavoro lento e meticoloso, una vera e propria slow art, ha lasciato il posto a effimere composizioni di cenere dalle diverse tonalità, che un soffio di vento cancella inesorabilmente. Come le foglie che si agitano e cadono con grande facilità. Sia la cenere, sia le foglie marcite sono però, appunto, fonte di nuova vitalità, nel ciclo – oggi si direbbe “filiera” – vita-morte-vita. Dunque, Diosono si confronta col tempo e con lo spazio raggelando nell’installazione alla Fenestella un momento delle trasformazioni, il più triste apparentemente, quando le foglie hanno perso la linfa e il legno è diventato cenere dopo la combustione. Un attimo della conclusione di un ciclo e il preludio dell’avvio di un altro che presuppone un humus fecondatore, memoria della vita passata e preludio di quella futura.
Simboli che l’artista presenta con diversi linguaggi; i mandala dipinti e quelli disegnati con la cenere. La stessa cenere che applica alle sue recenti tele in giochi concettuali e simbolici o che affida alla provvisorietà del cospargerle in terra. Una buona prova di creatività, legata al luogo di presentazione, che non segna – ci auguriamo – un abbandono della pittura, bensì soltanto una declinazione di poetica.


“ La Provincia “ supplemento al “ Corriere dell’Umbria” in data 25 marzo 2006.

Per opera d’arte un Mandala di cenere

“ Entwerden “: per Massimo Diosono è un’idea da mostrare nello spazio Trebisonda.

Le filosofie orientali, con le loro magiche simbologie, hanno sempre affascinato gli artisti, specialmente quelli che, superata la figurazione, non hanno trovato nella pura astrazione un linguaggio adeguato ad esprimere la loro visione del mondo, anzi dell’ universo.
E’ il caso di Massimo Diosono, un giovane artista sperimentatore da sempre di una concettualità tessuta di segni-simboli con riferimenti precisi ai Mandala tibetani, che recentemente fa dialogare con la cenere, anch’essa fatta assurgere a simbologia, ma di cultura occidentale. Nello spazio di Trebisonda di via Bramante, a Perugia, dove l’omonima associazione presenta da tempo un ventaglio di esperienze espressive di ricerca molto ampio, sono esposti gli esiti di questa recente speculazione estetica di Diosono. Il quale ha realizzato da tempo numerose rappresentazioni grafico-pittoriche estremamente rigorose del Mandala, appunto, e per questa occasione espositiva ha eseguito una installazione con quelle immagini pittoriche che si confrontano con un sorprendente altro Mandala realizzato sul pavimento con la cenere. La mostra, alla quale è stato dato il titolo “ Entwerden “ ( sottrarsi al divenire ), aperta fino al 2 aprile tutti i venerdì, sabato e domenica dalle ore 17,30 alle 19,30, corredata da uno scritto di Maria Ausilia Binda, presenta, oltre all’installazione citata, collocata al piano terra, anche una serie di opere su tavola, collegate alle precedenti e sistemate al piano superiore, “ campite “ precariamente con la cenere. Se il Mandala è una costruzione grafica che rappresenta l’universo e il mondo sensibile col cerchio ( circolarità degli eventi ) racchiudente il quadrato
( i confini del conscio ), immagine maieutica per un’elevazione individuale verso mete spirituali, la cenere è la immaterializzazione e l’esito della materia, ma al tempo stesso fonte di nuova vita per le sue proprietà fecondative: l’inizio di una nuova circolarità. Oriente e occidente che dialogano, pur leggendo infatti l’universo con strumenti differenti, approdano a concezioni simili del muoversi del visibile e dell’invisibile. Maria Ausilia Binda scrive a proposito di quella simbologia che
“ trasforma e compie una sublimante trascendenza “.
Le sei tele dal rigoroso grafismo bianco su nero: ricami magici, architetture fantastiche, costruzioni di Mandala complessi che l’artista ha sviluppato nella sua meditazione del concetto simbologico, incombono sulla realizzazione a terra di analoga immagine disegnata con l’impalpabilità della cenere, anzi delle ceneri di differente colorazione, assumendo lentamente le cromie dei materiali combusti.
Anche in oriente disegnano Mandala con le polveri, ma le ceneri di Diosono esprimono, come accennato, un altro valore simbolico. La cenere è distruzione, esito finale, inconsistenza, come l’opera realizzata, ma anche purificazione nella tradizione cristiana e humus rigneratore di vita. Si conclude un ciclo e se avvia un altro.
Al piano superiore, nelle tavole che ricordano gli esagrammi dell’I Ching, il testo cinese della divinazione che tanto affascinò Jung per la definizione della sua teoria psicoanalitica, la cenere diventa materia da applicare al supporto. Nella lunga fascia continua di destra si legge l’origine e la fonte di approvvigionamento delle parti che costituscono gli esagrammi appesi sulla parete sinistra. La cenere assurta a opera d’arte è il segno ambiguo della morte e della continuità della vita allo stesso tempo;
della inutilità del sottrarsi al divenire che riserva comunque un’escatologica continuità di presenza nell’universo. Scrive al riguardo Guido Maraspin nel numero di marzo di “ fuaiè “ che quell’opera: “ evoca con trascinante pregnanza la dialettica presente in ogni essere umano tra la caducità della vita e l’energia immanente della trasformazione continua dell’universo mondo “.


Corriere dell’Umbria Giovedì 20 Ottobre 2011

Diosono, simboli di spiritualità e storia: Mostra nella ex chiesa di Santa Maria della Misericordia

Il compito che si era proposto Massimo Diosono nel progettare e realizzare una mostra alla ex Chiesa di Santa Maria della Misericordia di via Oberdan, a Perugia, era decisamente arduo: quello di risacralizzare con il suo interevento artistico quello spazio dedicato un tempo al culto. Un culto intenso perché quella era la cappella dell’ospedale della città dove si soffriva e si moriva molto spesso, sulle cui pareti sono permanentemente impressi lamenti e preghiere. Dunque, in quel senso non c’è chiesa più pregna di fede, ma la sua funzione di culto è certo finita, da più di un secolo. Ora ospita mostre che il Comune di Perugia proprietario dello spazio patrocina, come questa molto bella e rigorosa di un artista umbro che merita attenzione.
“ Per colui che vede,nulla resta” titolo criptico dell’esposizione, patrocinata dal Comune di Perugia, assessorato alla cultura e alle politiche sociali, curata da Emidio De Albentiis, aperta fino al 23 ottobre, presenta otto coppie di opere sistemate specularmente, realizzate con per metà con l’ovatta e per l’altra con la cenere a mo’ di pittura. Una realizzazione “site specific”, si dice oggi, per chiarire che l’insieme e i particolari sono stati costruiti pensando allo spazio e alla sua storia; dunque un’ambientazione. Sette sono i simboli fra spiritualità e storia: la svastica nazista, anticamente simbolo di non violenza nel suo originario significato giainista; la stella di David che ci riporta allo sterminio degli ebrei; il simbolo moderno della pace; il simbolo dell’oro, fra splendore e potere; la falce e il martello, carica di suggestive utopie, ma anche di feroci repressioni; la mezzaluna dell’islam con le contraddizioni fra le parole del Corano e l’interpretazione terroristica che alcune ne fanno; il mantra induista Om, simbolo della feconda meditazione. Realizzati in pura ovatta applicata a un supporto rigido, sette di quelle opere si mostrano in sequenza sulla parete di sinistra dello spazio; specularmente, sulla parete di destra, sono esposti identici simboli costruiti su sagome “dipinte” di cenere. La leggerezza e il candore dell’ovatta è la metafora del bene e dello spirituale, il grigio quello delle negatività. Due facce della stessa medaglia; la contraddizione intrinseca di ogni ideologia e fede o mito. E infatti, De Albentiis scrive:
“La suadente (in) consistenza dell’ovatta, che pare attrarci con la sua morbidezza invitandoci ad avvicinarci e a condividere quello che il simbolo immediatamente esprime, e, di contro, la decostruzione disillusa insita nella cenere.”
Su questi simboli si ergono invece due croci, anch’esse speculari, una in ovatta, l’altra in cenere, ma collocate sulla linea perpendicolare della chiesa: all’ingresso e sopra quella che era l’abside. Dunque, seppure anche la crocefissione rappresenti una contraddizione: fra il peccato che l’ha provocata e la salvezza che Cristo ha garantito, la croce vince su tutto elevandosi fisicamente sopra gli altri caduchi simboli. Un cimento riuscito sia dal punto di vista dei contenuti, sia da quello della ricerca espressiva, sancito dall’accoglienza riservata dai visitatori che sovente sono tornati per approfondire con l’artista spellano la pluralità e intensità dei messaggi che vuole trasmettere. La mostra è visitabile fino a domenica 23 dalle 10 alle 13 e dalle 16 alle 20


Corriere dell’Umbria, sabato 17 novembre 2012.

Lo spirito del gesto nato dalla cenere di Massimo Diosono e quel lungo e serrato confronto con le filosofie orientali.

PERUGIA – Non è roba leggera quella esposta in questi giorni alla galleria T.A.C. di Perugia, in via Marconi 15, proprio a lato dei Tre archi del Crocevia, aperta fino al 25 novembre (il pomeriggio 16-19.30 dal martedì al sabato). Eppure le opere di Massimo Diosono in mostra sono fatte di cenere, la materia più leggera possibile, o di pittura gestuale, rapida e lieve. Nasce tutto da un lungo e serrato confronto con le filosofie orientali, quelle più meditative, che suggestionano l’artista tanto da fondare la sua poetica sul concetto di impermanenza. Eppure non si professa praticante di religioni del sol levante, ma in quella filosofia trova risposte alla sua esigenza di riflessione-azione artistica. La quale ultimamente si evolve nel segno della gestualità. Se infatti Diosono esordisce con i Mandala (termine che richiama il cerchio) che traccia con certosina precisione, col necessario controllo gestuale che ricama la tela di segni, tema in verità tradotto qualche anno fa in installazioni effimere poiché disegnate con la cenere, ma sempre con controllo assoluto del rigore compositivo. Ecco, la cenere, appunto, che è la materia effimera della quale il giovane artista si serve ormai da tempo per leggere l’altra faccia della medaglia del suo pensiero. La cenere è residuo di vita, vegetale, animale ed umana, è dunque anche simbolo e sintesi di memoria, ma pure trasmutazione, continuità, perché è fertilizzante. Come dice Andrea Baffoni nel testo di presentazione della mostra la cenere: “E’ un potente elemento simbolico di passaggio e trasmutazione che richiama i processi di distruzione e formazione della materia”. Con la cenere Diosono compila informalità sulla tela con gestualità (lo Zanshin, che vuol dire, appunto, spirito del gesto, di cui al titolo della mostra) non più rappresa come nella rappresentazione rigorosa dei Mandala. Ultimamente, con ulteriore scatto, è arrivato agli Ensō, segni circolari tracciati con un solo gesto in senso orario che rappresentano un cerchio aperto, quindi ancora un discorso in divenire. L’impermanenza di base è in questo caso una liberazione fulminea, una meditazione distillata, una contraddizione di linguaggio, ma non di sostanza rispetto ai Mandala. Di più, le ultime tele di cenere si sono animate di oggetti, potremmo dire che sono diventate figurative. Il gesto Diosono ora lo seppellisce nella cenere: l’annodare la cravatta, la pipa da portare alla bocca, la camicia piegata da indossare: non sono solo oggetti, ma gesti da realizzare, che l’artista contamina col gesto dello spargimento della cenere. Un passo ancora misurato quest’ultimo, che non vuole essere una rivisitazione pop impermanente, ma il segno di una ricerca che continua con scatti meditati.